Il Veneto e il Medioevo.
Il Medioevo è un’epoca convulsa, caratterizzata dalle due grandi istituzioni -la Chiesa e l’Impero- che spesso rivaleggiavano, sin a creare la famosa divisione tra Guelfi (filo papali, dai duchi di Baviera Welfen) e Ghibellini (filo imperiali, dal nome del castello tedesco di Waiblingen della famiglia dei duchi di Svevia, gli Hohenstaufen). Capovolgimenti di parte erano legati agli interessi del momento dei piccoli e grandi casati che spadroneggiavano tra le nostre terre. Così, i San Bonifacio assieme agli Estensi, passarono da filo imperiali a filo papali, divenendo i nemici più acerrimi dei da Romano (dal paese presso Bassano, il cui toponimo deriva dal longobardo “arimanno”), che con Ezzelino, capovolsero la loro strategia. Il Medioevo è l’epoca buia, il tempo di castelli e cavalieri, di distruzioni ed epidemie. Ma l’età di mezzo è anche un’età di libertà (i Comuni e la Lega Lombarda, nel 1167), di capolavori architettonici (San Zeno a Verona, ma anche le nostre pievi romaniche…), è il luogo fisico e temporale da cui emergerà il nostro ethnos, dove la nostra cultura acquisirà forma sotto molti aspetti. Ezzelino III da Romano e più tardi, Cangrande della Scala, sono personaggi emblematici di quest’epoca in cui la forza virile e l’abilità nei giochi di potere predominano. Entrambi realizzeranno un’entità unitaria in Veneto (Marca veronese o trevigiana) e oltre tali confini, quasi prospettando la riunificazione di quel Regno Italico figlio della Langobardia Major, il regno longobardo con capitale Pavia (ma anche Verona). Aquile imperiali, leoni rampanti, stemmi familiari e insegne comunali si fronteggiano e ricoprono i luoghi dei nostri avi. Guerre, massacri, brevi età felici, castelli e città murate, poeti ed eresie… Il Veneto si colloca in una posizione strategica, con il patriarcato di Aquileia, al centro dell’Europa divisa tra Papato e Impero germanico. Verona e il suo territorio in particolare, sono porta d’accesso fondamentale e nodo cruciale in questa contesa. Nella cultura, nella storia e nel nostro sangue (i Cimbri iniziarono a stabilirsi nel Triveneto dopo il mille!) il mondo Germanico penetra inequivocabilmente, continuando a descrivere la città scaligera e la venetica terra, come la porta d’accesso alla grande pianura, la Valle Padana, pilastro e sede insostituibile dell’umanità europea.
Ezzelino, signore e padrone assoluto della Marcha, legato all’Impero Germanico e passato alla storia col nome di “figlio del diavolo” per la sua foga guerriera, raccoglieva le sue truppe migliori e più fedeli nella pedemontana veneta. Distrusse castelli e villaggi, ma soprattutto realizzò l’idea di uno stato Veneto. Dopo la sua grande esperienza, scopriamo un altro personaggio, anch’esso avvolto nei miti dell’Europa celto-germanica, a cui il destino preserverà il merito di aver riappacificato il Veneto e aver riunificato gran parte della Padania centro-orientale (“Austria”), quasi a ricordo della non lontana Langobardia Major o del Regno di Berengario…
Ezzelino III da Romano, il figlio del diavolo.
La “damnatio memoriae” attribuita a Ezzelino, ce lo descrive come un uomo implacabile, feroce, efferato assassino e fautore di stragi. Un tiranno dunque, legato alle tenebre e, appunto, figlio del diavolo. Un mito negativo, crudele impalatore di uomini e donne innocenti. La figura di questo nostro nobile antenato è vittima della propaganda a lui nemica e alle leggende sorte attorno alle sue imprese. Ma egli in realtà fu spesso accolto dalle città conquistate come un liberatore, e la sua azione politica fu propensa allo sviluppo di un modello cortese. La “Marca gioiosa” è il nome con cui è denominata la nostra terra, in cui si innesterà la cultura dei poeti provenzali (Uc de Saint Circ, Aimeric de Peguilhan, Sordello da Goito), i trovatori, esuli dopo la crociata contro gli Albigesi. Sempre in quest’epoca si diffonde l’epica di Francia, con la Chanson de Roland, rielaborandola nella forma linguistica definita “franco-veneta”. L’epoca di Ezzelino non fu soltanto distruzione, ma anche mecenatismo indirizzato alla cultura cortese proveniente dal sud della Francia e poi diffusasi in tutta Europa. Hetzo (Ezzelino), nacque il 24 aprile del 1194. La madre sognò di dare alla luce un cane con una fiaccola in bocca che incendiava città e castelli. Questo è ciò che la leggenda tramanda. Ecco, come il nostro protagonista, è descritto nel trecento: “Ezzelino, figlio di Ezzelino Monacho, fu di statura di corpo mediocre, ne magro, ne corpulento, d’occhi vivissimi, di faccia gioconda, d’acutissimi denti, de’ capelli tra ‘l bianco, e ‘l rosso, eloquente e ne le sue attioni composto et elegante e di dolce conversatione…”. Ebbe tre mogli, tra cui Zilia di San Bonifacio, in un matrimonio d’interesse, e Selvaggia, figlia dell’imperatore Federico II. Ciò lo rese capo dei ghibellini italiani e il matrimonio fu celebrato a San Zeno in Verona. Dante lo collocò nell’inferno: “… tiranni - Che dier nel sangue e nell’aver di piglio”. Il dominio ezzeliniano inizia quando il Comune cittadino compila il suo primo statuto. Egli diverrà Capitano dell’imperatore e quindi vicario generale, ossia “dominus”, il padrone assoluto, al di sopra di ogni legge, dopo l’imperatore.
Quando nel 1250 Federico II muore e il suo mandato viene a mancare, egli condurrà una politica propria, autonoma, senza mai compiere alcun atto di sottomissione ai nuovi imperatori. Uno dei meriti principali fu l’aver riunificato le terre venete in un unico organismo, formando di fatto uno stato sovra cittadino con centro proprio in Verona. Ezzelino non solo tiranno, protagonista di un’epoca d’orrori e confische, morte e devastazione, ma esperienza di un personaggio storico che merita d’essere assunto a mito. Tra i nostri villaggi esistono storie, luoghi e leggende che ricordano il suo passaggio (la distruzione dei castelli di San Bonifacio e di San Giovanni Ilarione, la leggenda di Boscobandito…). Anche la sua fine, come la sua nascita (parimenti a Cangrande della Scala), è segnata da un’atmosfera leggendaria e dalla forza del mito. Fu bandita contro di lui una crociata, definendolo “l’anticristo”. Dopo la vittoria contro i crociati a Brescia, egli tentò di conquistare Milano, loro roccaforte, ma nella battaglia di Cassano d’Adda fu sconfitto, ferito e fatto prigioniero. Trasportato dunque a Soncino presso Cremona, sdegnoso di ogni prigionia, si strappò le bende postegli sulla ferita e si lasciò morire per dissanguamento. Era il 7 ottobre 1259.
Egli passò gli ultimi anni della sua vita in testa alle proprie truppe contro ribelli e crociati. Si dice che abbia ucciso nel brolo del convento veronese di San Giorgio in Braida, ben undicimila padovani, rei di non aver difeso la propria città sino alla fine. Un ultimo aneddoto. Un cronista veronese, suo contemporaneo, scrisse: “Regnò e resse vittorioso in battaglia contro i nemici per anni trentratrè”.
Cangrande della Scala.
Era il 22 luglio 1329. Una lunga processione si snodava lungo le vie che da Treviso portavano a Verona, attraversando tutto il Veneto. Fanti e cavalieri con insegne abbrunate e scudi rovesciati. Immaginiamo il silenzio commosso delle genti, tra i villaggi di case costruite con argilla e legno, alti e spioventi tetti in paglia, le romaniche pievi e i castelli fortificati di pietra, mattoni e legno… Quel giorno una nebbia di dolore velò ogni luogo del Veneto e della pianura padana, campagne, foreste, paludi, città e alture, poiché era morto uno dei suoi figli più grandi, un mito che dormirà in eterno nell’antica Verona: è morto Cangrande, immane condottiero, abile governante, importante mecenate e nobile uomo! Abbiamo iniziato la descrizione di questo incredibile personaggio protagonista della nostra storia, dalla sua morte, per meglio coglierne l’aspetto leggendario nel nostro immaginario. Fece di Verona la capitale di uno Stato, sotto di lui si realizzarono fortificazioni, chiese (Sant’Anastasia, San Fermo), la città divenne luogo di sviluppo economico e culturale. Fu portatore dei grandi ideali cortesi di cui Verona fu centro propulsore. Conquistò Vicenza, Padova, Feltre e Belluno, poi Cividale e molte terre Lombarde, Emiliane e anche Toscane. Progettava un grande regno Lombardo in Val Padana. Era di parte ghibellina e per questo venne scomunicato. Conosciuto per la sua grande capacità guerriera, ma anche per i suoi modi cortesi, Cangrande ci è descritto come uomo alto di statura, superiore al metro e ottanta.
Il suo volto era spesso ornato da un sorriso accattivante, quello stesso che ci è stato tramandato nel ritratto in armi a cavallo e nel riposo eterno alle Arche scaligere (monumento funebre straordinario, in puro stile gotico). Dante lo definì “il gran lombardo che in su la scala porta il santo uccello”, indicandoci l’acquisizione della funzione di Vicario imperiale sotto Enrico VII. Quindi il giovane Scaligero fu un uomo forte al punto di essere soprannominato “Grande” e non più Francesco (il nome dato alla nascita fu infatti Can Francesco), abile politico, possente guerriero (mitico il cimiero alato da lui indossato, sormontato da una testa di cane, importante simbolo araldico medioevale -con l’aquila e il leone- significante forza, aggressività, capacità bellica e fedeltà), unificò buona parte della Lombardia (pianura padana), da Cividale all’Emilia e oltre, creando di fatto un regno di respiro nazionale, sulle orme di Berengario prima del Mille. Ma le sorti di tale regno, riappacificato all’interno (pars ghibellina e pars guelfa) soltanto dalla sua enorme forza, alla sua morte, si rivelerà in tutta la sua fragilità. Cangrande è il signore dell’apogeo della fortuna scaligera. La scala, il cane e l’aquila imperiale sono simboli che rimarranno sempre rappresentazione dell’importanza raggiunta da Verona nella sua storia (la croce giallo-blu appartiene al Comune). Il cane alato posto sugli stendardi ed i cimieri degli Scaligeri, sono il segno più chiaro del richiamo ai mitici Longobardi: Verona fu una delle capitali della Langobardia Major, in essa riposava Alboino, re simbolo dell’etnia nordica. Gli scaligeri si rifacevano alla tradizione guerriera dei Longobardi e, probabilmente anche dei Goti di Teodorico da Verona (Dietrich von Bern): sono le famose “teste di lupo” o cane, i migliori guerrieri delle schiatte germanico-scandinave! E la scala, altra simbolo araldico per eccellenza, da cui il nome familiare, indica il desidero ad ascendere sia al potere terrestre, ma anche a ribadire l’ascendeva semi-divina della casata, nel solco sempre della tradizione germanica. Si racconta che re Alboino, come usanza tra i popoli nordici, fosse stato sepolto sotto una scala, a ricordo dei significati ancestrali del simbolo. A parecchi secoli dalla caduta del Regno Longobardo, Verona con gli Scaligeri ci dimostrano come la tradizione longobarda fosse più che mai viva e capace di riprendere vigore!
Concludiamo questo brevissimo viaggio nel mondo del più grande degli Scaligeri, con la descrizione del sogno leggendario fatto dalla madre, Verde dei Da Salizzole, moglie di Alberto della Scala, prima della sua nascita: il terzo figlio avrebbe avuto le sembianze di un cane, che col suo possente abbaiare avrebbe svegliato l’intero mondo.
Della sua valenza scrive anche il Boccaccio, che così lo tramanda ai posteri: “Fu uno de’ più notabili e de’ più magnifici Signori, che dallo Imperatore Federigo Secondo in qua si sapesse in Italia”.