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Marzo è il mese dei venti (‘i venti di marzo’), un mese in cui l’inverno non è del tutto trascorso e la bella stagione non è ancora stabile: marzo è un mese ‘pazzo’, «martzo martzon tri de akoa on de bon!». Ecco allora il bisogno di chiamare marzo, di risvegliare la natura, secondo un rituale antichissimo: sono le osade de marso (o chiamare marzo, tratomarso, batar marso, batar l’erba, criar marso, incontrar marso, movar incontro a marso, brusamarso, calendimarso, batare i pulzi…), conosciute anche come maridar le butele se fatto l’ultimo di febbraio e se bisestile, altrimenti maridar le vedove se eseguito il primo di marzo. Si tratta di una manifestazione rimasta viva in tutto il Veneto (e altre zone del Nord Italia) fino a poche decine di anni fa. Tra l’altro, il 1° di marzo era il primo dell’anno della Veneta Repubblica, retaggio di un calendario ancestrale.
Il rito del batarmarso consisteva in un corteo di ragazzi, i quali attraversavano le vie del paese, i campi e le alture, accompagnati da suoni e rumori prodotti dai più svariati strumenti, e da una canta (con leggere varianti da zona a zona): «Siamo qua par entrar marzo su questa tera / a maridar na butela / Ci ela ci no ela». Il nome della ragazza era gridato tra le case, nell’oscurità delle strade di un tempo, in una gestualità antica. - Il capo della brigata ben provvisto di strumenti di latta, bande, pale, molle, scaldetti, zufoli… si ferma davanti alla casa designata e grida: «Marso Marso sia / sii, sii». Risponde il coro attacando la ‘rustica’ orchestra. E continua: «Le pegore e el monton va a l’ombra!, Sii, sii… El pastore va in montagna […]». Si finiva col ‘maridar la butela’, pubblicizzando l’amore dei morosi - [Berto Barbarani]. Il rito nascondeva le antiche usanze di primavera e dell’approvazione della comunità stessa al matrimonio. La Chiesa e i parroci locali avevano privato del loro autentico significato questi rituali, rendendoli di fatto dei giochi, spesso maliziosi, e per questo scambiati anche per ‘volgari’. Ecco l’osada della canta de Martzo di Arcole: «se la cana de la vale fusse la pena / e se l’akua d’l mar fusse vinciostro / no bastaria par scrivar / la malissia de ste done». Nelle cerimonie e nei giochi scherzosi si fondevano i due concetti della fertilità della terra e l’unione in matrimonio di due morosi: «come la terra pregna del seme germoglia, così l’unione della donna con l’uomo genera nuova vita» [Dino Coltro]. Secondo lo Schweizer, studioso dei cimbri, le manifestazioni del butar marso, quello che lui chiama ‘la sposa di marzo’, inizialmente erano separate dal falò (Houlant) comunitario serale: il chiamar marzo, rivolto alla Madre Terra, la sposa di Marzo e il fuoco comunitario, sono state unificate in un secondo momento. Era un capodanno primaverile, che assumeva aspetti carnevaleschi, ma conservava un antico significato. E’ importante ricordare che il 1° di marzo era anche il capodanno ufficiale della Repubblica di Venezia.
Ecco un canto (in una forma poetica) dell’Altopiano di Asiago, riportato dallo studioso tedesco Schmeller.
«Schella, schella Märzo / Snea dehin / Gras deher / Alle de dillen leer / Benner der kuko kuket / plünet der balt / bear lang lebet / sterbet / alt» (Suona, suona Marzo / la neve si è sciolta / l’erba spunta / i fienili son tutti vuoti / Quando il cuculo canta / fiorisce il bosco / chi vive a lungo / muore vecchio)
Ma qual è l’origine di tali riti? Nella Roma antica, con questo mese si apriva l’anno ed era dedicato a Marte (da cui marzo), dio dell’agricoltura e della terra. Marte diverrà anche dio della guerra. D’altronde, la guerra, all’inizio era depredazione dei raccolti altrui, sui quali Marte stendeva la sua protezione. Ma riti simili si trovano anche in Tirolo e in altre parti d’Europa. Esso perciò si mostra come un rituale dalla simbologia ancestrale, inciso nelle stesse origini dei popoli indoeuropei. E’, o meglio era, un qualcosa di antichissimo che è scomparso in pochi anni. Oggi Marzo arriva comunque, chiamato dai suoi forti venti, con il suo tempo incerto, con la Primavera a risvegliare la Terra: ma a tutti noi è sfuggito qualcosa di importante che legava le Genti al mondo in cui vivevano. E’ scomparso un altro pezzo di umanità !
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